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Hamblin, Smith, Branson, Bennett sono un gruppo di famiglie che compone una comunità in una periferia ideale degli Stati Uniti anni 60. Nella piccola e tranquilla cittadina americana il tempo sembra essersi fermato. Le vite degli abitanti scorrono con una naturale quotidiana armonia, alle prese con i problemi del lavoro, domestici e adolescenziali. Ma tutto forse non è come sembra e l’arrivo di un forestiero porta ad affiorare un qualcosa. Come in un quadro di Edward Hopper sembrano vedersi solitudine e finestre. Silenzio. Luce. Geometrie. Sguardi infiniti. È veramente tutto normale?
scritto da Marco Andreoli
con Almerico Cavallo / Antonio Ciaffone / Cecilia De Angelis / Eleonora Presta / Erica Fusini / Federica Fidaleo / Federico Paci / Gabriele Passaro / Roberto Biocco / Simone Di Pascasio / Valentina Di Odoardo
musiche originali Cristiano Urbani
costumi Claudia Fonti
scenotecnica Stefano Pietrini
messa in scena Antonio Sinisi
produzione VLAT X
partner Centro Documentazione e Biblioteca Interculturale del CIES onlus
via Jacopa de’ Settesoli, 3 (Roma)
teatrotrastevere.it • info@teatrotrastevere.it
Hopper Mode è un interno guardato dall’esterno e un esterno guardato dall’interno. È un lavoro complesso dove s’intrecciano diversi dispositivi: quello testuale, quello ambientale, la scena e i costumi, quello dei corpi che abitano l’ambiente ovvero lo spazio del teatro tutto, chi vivendolo, chi guardandolo seduto in platea. Poi c’è Hopper, non ultimo ovviamente rispetto a questo lavoro.
Sulla scena non c’è nessun tentativo di riproduzione dei quadri dell’artista americano. C’è, tuttavia, una ricerca, una eco che vuole rendere viva la luce. Quella luce che Hopper stesso ha reso protagonista in molti suoi quadri.
Sia nel nostro lavoro che nei quadri si parla di un americanità degli anni 60, dove non ci sono eroi e tantomeno eroine, tutto incentrato su una comunità che vive in una periferia ideale vissuta da gente vera. Se nei quadri di H. la presenza umana è accessoria, nello spettacolo i personaggi combattono per uscire dal quadro scenico.
È molto strano lavorare sul realismo senza occuparsi realtà come faceva H. È molto strano dar voce a dei personaggi di H. quando tutti i suoi dipinti sono narrazioni interrotte.
Presenza e assenza sono lo stesso unico mistero, attraverso cui fiorisce il colore, in cui la forma respira — scrive Yves Bonnefoy su “Edward Hopper. La Fotosintesi dell’Essere”.
Il segno fine a se stesso, che in scena si sviluppa su una terra che si sta disfacendo è l’esplorazione che parte da Hopper Mode.
— Antonio Sinisi
Hopper ci racconta una luce che determina forme e risalta colori. La ricerca sul costume per Hopper Mode parte dalla volontà di ricreare una tavolozza d’artista dove tinte monocromatiche si mescolano dando vita a nuove sfumature. Il costume privo e privato di orpelli e fantasie è ridotto al minimo, un minimo che possa raccontare e rintracciare i legami tra i vari personaggi, ultimo scampolo di speranza, al di là della solitudine e disintegrazione dei rapporti umani raccontata nel lavoro dell’artista.
— Claudia Fonti
Sorprendersi nel ritrovare un po’ di Hopper in vecchie fotografie scattate, nel 2019, in un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti. L’attesa, la sospensione, un prima e un dopo ignoti all’osservatore. Scoprirlo durante un percorso teatrale complesso, in veste di attore, basato sulle atmosfere e sulle suggestioni hopperiane. Accettare il fatto che un “collegamento” del genere era in qualche modo gia esistente e andava rivelato.
— Roberto Biocco